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La pensée irradiante

  • Immagine del redattore: Danny
    Danny
  • 10 nov
  • Tempo di lettura: 4 min
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11 Novembre 2005


Le Monde riportava questo articolo 20 anni fa.


E questo articolo è ancora presente negli annali del giornale : https://www.lemonde.fr/livres/article/2005/11/10/pasolini-la-pensee-irradiante_708686_3260.html


al di là della straordinaria organizzazione e disponibilità del quotidiano francese, mi vien da dire chapeaux! ma non è questo il punto fondamentale... Rimasi stupito al tempo che quello scontato oblio in cui in patria era stato relegato Pasolini , invece, oltralpe non vi era affatto e i francesi non si facevano alcun problema a parlarne e a cercare di esporre i fatti così come accaddero e ad inseguire le verità anche più scomode dietro la vicenda...


In fondo questo articolo è stato per me la primigenia spinta ad arrivare a scrivere Serva Italia anche proprio per cercare di colmare il vuoto narrativo sugli avvenimenti che hanno visto il poeta perire ucciso al Lido di Ostia.


ed allora per chi non ha confidenza con il Francese ecco la traduzione a cura AI - chatGPT4....


Traduzione in italiano dell’articolo di Le Monde (10 novembre 2005)

Il giorno del 2 novembre 1975, un corpo senza vita fu scoperto vicino a una spiaggia nella periferia di Roma. Una parte del volto era schiacciata, il tronco portava le tracce di disegni di pneumatici. I poliziotti impiegarono un po’ di tempo a riconoscere in quell’uomo, di circa cinquant'anni, lo scrittore Pier Paolo Pasolini. Un giovane delinquenti di 17 anni fu arrestato quella notte da carabinieri. Si chiamava Giuseppe Pelosi, “la Grenouille”. Confessò immediatamente di essere l’assassino dell’autore, l’unico assassino, dando come motivo del suo gesto l’aggressione sessuale violenta di cui sarebbe stato vittima da parte di Pasolini, dopo che quest’ultimo lo avesse sedotto vicino alla grande stazione di Roma. Alla fine di un processo scadente, Pelosi fu condannato a nove anni e otto mesi di carcere. In una recente trasmissione televisiva, riconobbe infine l’evidenza: più uomini avevano partecipato all’omicidio. Ma questa volta si dichiarò innocente e rimase in silenzio sull’identità degli assassini.

È proprio questo rifiuto della giustizia italiana di riconoscere l’evidenza – come è potuto un ragazzo piuttosto magro, da solo, riuscire a uccidere un uomo così robusto come Pasolini? – che ha spinto il regista Marco Tullio Giordana a ricominciare da capo tutti i documenti del caso, ad analizzare metodicamente gli eventi e l’interpretazione giuridica che vi era stata data. Se, nel suo Pasolini, mort d’un poète (Seuil, 226 p., 21 €), si interroga sui disturbanti malfunzionamenti delle istituzioni dello Stato italiano, rimane comunque dubbioso per quanto riguarda le motivazioni e l’identità degli assassini: tentativo di rapina, trappola di piccoli mafiosi o – ipotesi più credibile vista la situazione politica del momento e la campagna di odio cui Pasolini era l’obiettivo – omicidio commissionato da fascisti e compiuto dalla pègre? In ogni caso, una tale riapertura dell’indagine sulle circostanze del crimine apre opportunamente le discussioni su un’interpretazione avanzata da alcuni secondo cui l’assalto a Pasolini sarebbe stato semplicemente un suicidio travestito.

Tesi romantica

Nel suo eccellente saggio su Pasolini, René de Ceccatty (1) si distacca fin da subito dalla tesi romantica del “poeta maudit”, che, per obbedire al suo destino, avrebbe scelto una morte ignominiosa (Gallimard, Folio‑Biographies, 260 p., 5,30 €). Qui si vede un negare del reale – Pasolini, come sappiamo, non si offrì come vittima sacrificiale alle punizioni dei tiranni, resistette con l’ultima energia – e questa immagine, seppur stereotipata e falsa, di un scrittore marginale, solitario, uno dei casi dell’incomprensione che l’opera e la personalità di Pasolini sono state continuamente oggetto. In Italia, soprattutto in Francia.

La lotta contro il male, soprattutto nello spazio politico, richiede ai intellettuali due atteggiamenti: o la distanza e la condanna morale (ha dignità ed efficacia; Breton, Sartre in Francia potrebbero incarnare questa logica); o, più pericolosamente, un certo approccio al male, non una complicità ma il desiderio di esplorare i suoi territori, comprenderne la logica e le seduzioni per combatterlo meglio, rischiando però di perdersi moralmente o fisicamente. Bataille, sospettato di essere stato un tempo sedotto dalle sirene del fascismo, sarebbe una figura possibile di questo tipo di intellettuale fuori norma. Pasolini, per l’Italia, è la sua incarnazione più esemplare e ancora più eroica. Per convincersi di ciò, basta rileggerle le Ecrits corsaires (Flammarion, Champs Contre‑Champs, 282 p., 8,20 €), appena ristampate (saggio violente e polemico sugli ultimi anni della vita di Pasolini), ricordando le reazioni violente che suscitò, il numero dei processi intentati contro l’autore durante la sua vita, le reclusioni nella società che dovette sopportare.

Pasolini, a differenza di molti intellettuali che lo combatterono, non era un teorico astratto; era uno scrittore che, a parole proprie, pensava da “un’esperienza esistenziale, diretta, concreta, drammatica, corporea”. Non fu come loro “questo e quello”; fu contemporaneamente tutto insieme: questo e quello. Comunista e cristiano; lettore di Gramsci e di San Paolo; ammiratore di Marx e del Papa Giovanni XXIII; materialista e nostalgico del sacro; uomo di sinistra, contrario alla depenalizzazione dell’aborto; rivoluzionario e ostile a Mai 68; offeso dalla destra, dai fascisti e combattuto da sinistra, rifiutato dal Partito Comunista; ossessionato dal sesso e contrario alla sua liberalizzazione… Come orientarsi in tutto ciò, in questo complesso intreccio di un’opera e una vita? Vari libri pubblicati recentemente possono aiutare. E tutti, a modo loro, pongono la domanda: cosa possiamo imparare oggi da Pasolini?

Trenta anni dopo

Trent'anni sono passati dalla sua morte. Il mondo, come ricorda Bertrand Levergeois nel suo saggio Pasolini, l’alphabet du refus (éd. du Félin, 256 p., 18,90 €), è cambiato. Il comunismo crollò, i fascismi tradizionali non sono più una minaccia, la Cina continua a “svegliarsi”, l’Eglise si è “modernizzata”, l’umanesimo e la benevolenza di sinistra manifestano ogni giorno più impotenza… Che cosa resta del messaggio profetico di Pasolini che causò tanto scandalo? Rimane l’essenziale. La merce domina senza condivisione, l’acculturazione e l’uniformità crescono, l’hedonismo consumista è la nuova morale, l’economia – e più la politica – è il destino dell’uomo, il nichilismo si estende su di noi con la sua grande ala scura. Cosa fare di fronte a questa situazione? Descrivere chiaramente la constatazione, e eventualmente, come un Baudrillard o un Houellebecq, proporre non senza una certa giubilatione l’aggravamento? O, come Debord, come Pasolini, rifiutare, resistere, combattere? “Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali, il piccolo numero di coloro che hanno fatto la storia, sono quelli che hanno detto no…” – ultime parole pubbliche di Pasolini a un giornalista, poche ore prima del suo assassinio.

 
 
 

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