Pur non essendo nato troppo lontano da dove si è sviluppato il dialetto usato per scrivere questo pezzo da Fabrizio De Andrè insieme a Ivano Fossati, pur essendo sempre stato magicamente trasportato dalle note mediterranee di questo pezzo, ne ho compreso a pieno tutti i risvolti e gli aspetti più particolari solo di recente.
Andiamo con ordine: A çimma (la cima) è un piatto tipico genovese, detta anche éuggio (cioè occhio). Piatto che noi ora troviamo magari nei supermercati già affettato e pronto all'uso ma che, se preparato secondo la tradizione, deve seguire delle regole, quasi dei rituali, molto rigidi altrimenti non si riesce ad arrivare in fondo alla sua preparazione.
Trattasi infatti di una tasca di pancia di vitello farcita con diversi ingredienti e bollita in brodo di verdure. Detto così sembrerebbe anche facile... tuttavia De André condisce i passi che portano a questa preparazione con alcuni rituali, quasi al limite dell'esoterico, che rendono la melodia mediterranea che accompagna questo percorso culinario ancora più, se possibile, incantevole.
Ma vediamo come si svolge l'azione:
Ti t'adesciâe 'nsce l'éndegu du matin Ch'á luxe a l'à 'n pé 'n tèra e l'átrù i mà Ti t'ammiâe a ou spégiu de 'n tianin Ou çé ou s'amnià a ou spegiu dâ ruzà
Ti mettiâe ou brûggu réddenu'nte 'n cantùn
Che se d'â cappa a sgûggia 'n cuxin-a á stria
A xeûa de cuntà 'e págge che ghe sun
'A çimma a l'è za pinn-a a l'è za cûxia
immagino tutto chiaro, vero? Ecco la traduzione , si perde di musicalità ma non di poetica
Ti sveglierai sull'indaco del mattino quando la luce ha un piede in terra e l'altro in mare ti guarderai allo specchio di un tegamino il cielo si guarderà alla specchio della rugiada metterai la scopa dritta in un angolo che se dalla cappa scivola in cucina la strega a forza di contare le paglie che ci sono la cima è già piena è già cucita
La prima strofa è l'aprirsi al giorno, alle prime luci dell'alba che "mette un piede in terra e l'altro in mare", e come il cuoco (o la cuoca) si specchia nel tegamino, il cielo invece si specchia ancora nella brina, e questo da il via alle operazioni di cucina. Ma ancor prima di iniziare il lavoro ecco il primo rito cui deve adempire... per evitare che scenda la strega dalla cappa sopra la stufa (e qui bisogna immaginare un ambiente di cucina risalente almeno all'inizio del secolo scorso) si deve mettere un scopa di saggina in un angolo, allo scopo di distrarre la strega intenta nel contare le singole paglie della scopa stessa. Mentre la strega è intenta a far questo, la cima viene già riempita e cucita evitando i malefici potenziali che la stessa potrebbe fare per far fallire il buon esito del piatto.
Çé serén tèra scûa Carne ténia nu fâte néigra Nu turnâ dûa
Cielo sereno terra scura carne tenera non diventare nera non ritornare dura
E questo è l'altro rito, questo invece ripetuto ad ogni strofa, in cui si implora il cielo e la terra affinché la carne tenera delle interiora che deve costituire l'involucro della cima, non diventi né scura, né tantomeno dura...
Bell'oueggé strapunta de tûttu bun Prima de battezálu 'ntou prebuggiun Cun dui aguggiuîn dritu 'n púnta de pé Da súrvia 'n zû fitu ti 'a punziggè
Àia de lûn-a végia de ciaêu de négia Ch'ou cégu ou pèrde 'a testa l'âse ou senté Oudú de mà miscióu de pèrsa légia Cos'âtru fâ cos'âtru dàghe a ou çé
Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio
prima di battezzarla nelle erbe aromatiche
con due grossi aghi dritti in punta di piedi
da sopra a sotto svelto la pungerai
aria di luna vecchia di chiarore di nebbia
che il chierico perde la testa e l'asino il sentiero
odore di mare mescolato a maggiorana leggera
cos'altro fare cos'altro dare al cielo
Questa è una vera e propria preghiera di ringraziamento in cui si elogia il risultato e nel contempo si indicano i prossimi passi che si devono seguire affinché la cima sia cucinata nella maniera corretta, e cioè , immergendola in un brodo particolare di erbe naturali (il "prebuggiun") tipico ligure. Poi per valutare il punto di cottura, occorre inserire 2 aghi nella carne per valutarne il grado di cotture, con molta cautela ("Cun dui aguggiuîn dritu 'n púnta de pé"). Per poi contestualizzare il periodo in cui è meglio farla (luna vecchia) e quando sale la nebbia dal mare, terminando con una specie di invocazione su cosa si può fare di più di così, cos'altro dare al cielo.
Çé serén tèra scûa
Carne ténia nu fâte néigra
Nu turnâ dûa
E 'nt'ou núme de Maria
Tûtti diaì de sta pûgnatta
Anène via
e nel nome di Maria tutti i diavoli da questa pentola andate via
Qui la preghiera si completa nel richiedere alla Madonna di far sì che tutti i diavoli si allontanino da questa pentola ("pignatta")
Poi vegnan a pigiàtela i câmé
Te lascian tûttu ou fûmmu dou toêu mesté
Tucca a ou fantin à prima coutelà
Mangè mangè nu séi chi ve mangià
Poi vengono a prendertela i camerieri
ti lasciano tutto il fumo del tuo mestiere
tocca allo scapolo la prima coltellata
mangiate mangiate non sapete chi vi mangerà
E infine arrivano i camerieri a prenderla per portarla in tavola lasciando in cucina a chi l'ha preparato solo il profumo di tutto il lavoro fatto. Degli astanti si privilegia il più giovane (il "fantin") cui si lascia l'onore della prima coltellata... E infine con un finale cinico e sprezzante misto ad un po' di astio per l'invidia di questi che mangiano la sua prelibatezza totalmente incuranti del tanto lavoro fatto per completare il piatto, il narratore chiude con un "nu sei chi ve mangià", alludendo a quello che gli accadrà dopo morti....
Çé serén tèra scûa Carne ténia nu fâte néigra Nu turnâ dûa E 'nt'ou núme de Maria Tûtti diaì de sta pûgnatta Anène via
E a chiosa di questa storia sono felice di avere trovato questa interpretazione di De Andrè insieme a Ivano Fossati che condivido qui dopo qualche tempo
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